Filtro antiparticolato  FAP / DPF                                                a                                                                                                                                                                

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il sistema FAP aggrega il particolato dei gas di scarico in agglomerati di particelle senza un legame chimico miscelando al gasolio una sostanza
chimica detta "cerina" (ossido di cerio) che possiede questa caratteristica.
Tali agglomerati essendo più grossi del particolato originario, diventano "imprigionabili" dal filtro e non si disperdono in atmosfera. Il processo è controllato in modo automatico dal sistema FAP. Fisicamente la cerina è collocata in uno speciale serbatoio di 5 litri, presente fin dall'uscita dalla fabbrica. Ogni modello ha una sua autonomia di cerina compresa
generalmente fra i 70.000 e gli 80.000 chilometri, oltre la quale si deve
riempire nuovamente il serbatoio durante le normali operazioni di
manutenzione in officina. Negli ultimi anni il sistema FAP ha beneficiato
di investimenti migliorativi nella scelta dell'additivo e del supporto
filtrante che hanno consentito un ulteriore guadagno in termini di
autonomia.

Gli agglomerati catturati dal filtro alveolato tendono ovviamente ad
intasarlo ma, grazie alla cerina, hanno un'infiammabilità minore rispetto all'originario particolato (~450 C° secondo Peugeot). Periodicamente il
filtro viene quindi "ripulito" bruciando gli agglomerati catturati: questo
viene fatto mediante una post-iniezione di gasolio e quindi rendendo più
caldi i gas di scarico che a loro volta, nel filtro, scaldano gli agglomerati bruciandoli. Il sistema automatico del FAP decide il momento opportuno
per la rigenerazione del filtro (prevalentemente durante i percorsi extra
urbani ogni 300-400 chilometri) valutando il salto di pressione che il
motore deve vincere a cavallo del filtro che tende ad aumentare con
l'intasarsi del dispositivo stesso. Proprio questa fase di "ripulitura" è
quella che sta suscitando le maggiori controversie, come spiegato più
avanti.

Nel gergo automobilistico, vengono definiti filtri antiparticolato anche
soluzioni diverse dal FAP Peugeot-Citroen. Tali soluzioni alternative,
definite genericamente dall'acronimo DPF, funzionano in modo analogo
al FAP. La differenza sostanziale è data dall'assenza di additivi, pertanto,
i DPF non hanno la necessità di rabboccare la cerina, ma d'altra parte,
l'assenza di additivi comporta la necessità di eseguire la fase di
rigenerazione a temperature più alte rispetto ai FAP.


L'obiettivo principale di questo dispositivo è ovviamente il rispetto dei limiti di emissione Euro 4 ed Euro 5 e quindi la diminuzione del PM10 di origine carboniosa emessa dai motori diesel, particolato pericoloso in quanto contiene sostanze fortemente tossiche come gli idrocarburi policiclici aromatici.

In base agli studi sperimentali, il FAP ha dimostrato a oggi una notevole efficacia nella cattura del particolato emesso dai motori diesel. In particolare, secondo le misurazioni effettuate dall'Istituto Sperimentale per i Combustibili, le polveri vengono abbattute di 7 volte in massa e di 10000 volte in numero.[4] L'efficacia di cattura del filtro è stata inoltre verificata fino a particelle delle dimensioni di 10 nanometri (quindi anche per parte delle cosiddette nanoparticelle).

Questi studi vengono da altri contestati in quanto le misurazioni non sono state effettuate su tempi abbastanza lunghi e quindi non comprendono la fase di rigenerazione del filtro, come detto la più critica.

Infatti, a tal proposito, alcuni studi dell'Agip hanno dimostrato una maggiore produzione di nanopolvere da parte di questo dispositivo durante le fasi di rigenerazione,[7] anche se su livelli non superiori a quelli che si registrano sui veicoli non dotati di FAP. Secondo lo studio dell'Agip le nanoparticelle prodotte dai motori diesel sarebbero prevalentemente volatili (cioè non comprese nel particolato comunemente inteso) e costituite soprattutto di acido solforico e composti organici pesanti, oltre che in gran parte da residui carboniosi (p. 43). Lo studio evidenzia altresì la quasi completa inefficacia dei comuni metodi di determinazione gravimetrica delle "polveri" (PM10) per la determinazione dell'effettiva quantità delle polveri ultrafini (< 0.1 µm) e nanopolveri (<0.05 µm).